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La mia storia è la storia di una donna che – prossima ai 50 anni (48 per l’esattezza) – si è resa conto che era giunta l’ora di cambiare pagina e ha trovato il coraggio di farlo.

Vivevo una vita professionale, a detta di molti appagante. Donna Manager e d’azienda da oltre vent’anni, ero responsabile di funzione e a capo di un team di tutte donne in un’azienda che mi aveva assicurato una gratificante carriera. Guadagnavo bene e viaggiavo spesso per lavoro, la qual cosa mi permetteva di non subire la routine e di entrare spesso e volentieri in contatto con persone nuove (aspetti del mio lavoro che amavo molto).

Ma non erano tutte rose e fiori. Ero cresciuta dentro all’azienda che aveva investito abbastanza nello sviluppo delle mie competenze tecniche ma per nulla in quelle trasversali. Ogni qual volta sentivo di avere un’opinione difforme da quella dei vertici aziendali, diventava emotivamente stressante sostenerla, come quando il figlio piccolo si ribella al genitore.

Anche la squadra di tutte donne era un problema. Eravamo cresciute insieme, ma, a differenza mia, loro si erano sposate e avevano avuto dei figli e le loro esigenze erano cambiate. Comprendevo loro, ma poco me stessa ed è così che mi facevo carico del mio lavoro e del loro, pur di rispettare le scadenze aziendali.

Insomma, attendevo ferie e week end per distrarmi in viaggi, shopping, esperienze sensoriali di benessere e in tutto quello che il portafoglio “pieno” poteva garantirmi.

Ma poi si rientrava al lavoro, ed il malessere cresceva. In più cominciavo a sentire il “vuoto” e la vacuità di quanto facevo. Essendo Responsabile Marketing in un’azienda che produceva un prodotto di largo consumo– per lo più rivolto ai piccini – sentivo di impiegare gran parte della mia vita per alimentare un circuito consumistico che non era più allineato ai miei valori e che riusciva anche a farmi sentire poco etica.

Insomma, il piatto della bilancia, tra pro e contro, cominciava a pendere decisamente dal lato dei contro. Quando ne ho preso atto (anche grazie ai numerosi percorsi di crescita personale intrapresi nel tempo libero), ho cominciato a costruire il mio PPFS (ho inventato adesso l’acronimo 😉) ossia il mio “Piano Personale di Fuga e Sviluppo” 😊.

Cambiare semplicemente azienda poteva essere un’alternativa valida: non mi sarei trovata più invischiata nei sensi di colpa della manager “ribelle”né nelle esigenze familiari delle mie colleghe -amiche, per di più, avevo un ottimo know how spendibile nel CV. Ma era davvero quello che volevo? Mi sono interrogata e ascoltata a fondo. La risposta è stata NO. Io desideravo dare un nuovo SENSO alla mia vita professionale. Svolgere una professione che potesse essere di aiuto e supporto alle vite altrui. Se non avessi ascoltato questa voce, di lì a breve il senso d’insoddisfazione mi avrebbe seguito (e trovato) anche nel nuovo posto di lavoro.

Ed è stato così che ho attentamente valutato e pianificato tempi e costi per “CREARE LA NUOVA ME IN AMBITO PROFESSIONALE” e ho fatto il salto nell’incognito con un progetto davanti.

Sotto pandemia ho dato le dimissioni e ho conseguito 3 attestati professionalizzanti- scelti e calendarizzati con estrema attenzione, tanto alla mia indole quanto all’evoluzione del mercato del lavoro–e così sono diventata Coach Professionista, Formatrice Responsabile ed Esperta di Processi Formativi, ed Esperta dell’Orientamento.

E’ stato facile? Assolutamente NO. E’ stato bello? Assolutamente SI! Mi è pesato? Assolutamente NO! Lo rifarei? Assolutamente  SI!

Forse lavoro anche più di prima! Quando ci sono delle scadenze o mi coglie l’ispirazione, non ho orari serali e non riconosco il week end, ma tutto quello che faccio, lo faccio con estremo piacere ed ispirazione (cosa che non avrei mai fatto da dipendente).

Non ho la spensieratezza economica che avevo prima, ma anche questo era stato considerato e valutato, ed ho deciso che non sarebbe stato un problema rinunciare a qualche viaggio e allo shopping per costruire una nuova vita lavorativa.

Ho ricominciato da zero e con molta umiltà, dimenticando che, in ambito di marketing aziendale potevo essere “qualcuno”. E questo per me è stato anche “motivante” perché mi ha fatto risentire “giovane e neo laureata”.

Ma tutto ciò era stato previsto, considerato e valutato. Ed è questo il primo consiglio che mi sento di dare, affinchè non si debbano fare i conti con la disillusione, con il “non me l’aspettavo così”, “non l’avevo considerato”. Dunque, non agite mai sull’onda dell’emotivitàma progettate e programmate consapevolmente e poi “validate” con il vostro sentire interiore (le emozioni vanno ascoltate).

Il secondo consiglio che mi sento di dare – e che poi, a livello temporale, viene prima di tutti – èimparate a conoscervi, a dialogare con voi stesse e a comprendere cosa desiderate realmente per voi dalla vita. Solo così riuscirete a non perdervi lungo il cammino e a non farvi demotivare da ostacoli e paure (soprattutto quelle che i vostri cari proiettano su di voi con frasi come … “Sei pazza a lasciare il posto di lavoro”?).

Per concludere, il consiglio più importante di tutti: seguite la vostra strada! Ognuno ha la propria e la percorre nelle proprie scarpe. Nessuno può dirci cosa è giusto fare o meno e -nel bene e nel male -la responsabilità è solo nostra. Dalla nostra responsabilità dipende la nostra felicità.

Ancora una volta mi chiedo: “E’ stato facile? No; Sono felice? Si”.

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